PREANNUNCI DEL ROMANZO NELLO SVOLGIMENTO SPIRITUALE ED ARTISTICO DEL MANZONI DEL 1821
4. Considerazioni sulla realtà politica e sociale nelle liriche politiche del 1814-1815.
Una veduta di Lecco
Nel 1814 e nel 1815 il Manzoni scrisse due liriche di argomento politico rimaste allo stato di frammenti: quella che viene comunemente intitolata Aprile 1814, ed esprime, con la gioia per la fine del dominio francese, la speranza di una migliore amministrazione politica nel futuro; e l'altra, IL proclama di Rimini, nella quale si canta la speranza — dopo il fallimento del sogno espresso nell'aprile del '14 — suscitata dal proclama con il quale Gioachino Murai nel 1815 chiamava a raccolta gli italiani per costituire uno stato unitario. Questi frammenti hanno limitato valore poetico, ma notevole importanza nella storia dello svolgimento spirituale ed artistico dello scrittore. Essi documentano un fatto importantissimo: che nel Manzoni cristiano sussiste il bisogno, già operante nelle opere giovanili, di osservare i concreti fatti politici e sociali, e di confrontare la realtà storica e sociale alle idee morali.
Nel frammento Aprile 1814 c'è il vivo senso della libertà di parola, prerogativa non sopprimibile della personalità umana (è un motivo che non verrà meno nei Promessi Sposi): il « superbo morso », constata con gioia il Manzoni, è stato tolto all'onesta parola, e ogni * affetto compresso » può ormai correre al labbro.-Si affaccia il sentimento di avversione per l'inganno e l'intrigo propriamente politico: i francesi hanno mutato il « sacro patto » come « si muta il vestimento »; hanno dato « nuovi padri » alla legge, ma li hanno dispersi quando si sono avveduti che erano amici ai buoni. C'è l'avversione alla guerra, incessantemente alimentata dai francesi negli ultimi decenni; e significativamente questa idea ne richiama un'altra: quelle guerre distruggevano le gioie familiari, i « soavi colloqui ». Troviamo una prima positiva indicazione su quel che il Manzoni richiede a un governo: che amministri saggiamente a vantaggio di « tutti » (« al ben di tutti aver rivolta ogni opera »). Nel Proclama di Rimini appaiono altre idee importanti: è necessaria l'unità per rendere forte l'Italia: un sentimento — questo dell'unità — che si era posto accanto a quello democratico fin dagli anni giovanili, quando il Manzoni aveva avuto rapporti con lo storico napoletano Vincenzo Cuoco, un protagonista della lotta per la Repubblica partenopea del 1799, deciso sostenitore dell'unità. Pensa il poeta alla legittimità di una guerra di liberazione condotta con « l'ira e la gioia dei perigli », per conseguire questi giusti scopi. Nasce l'idea che un Dio vegli sulla storia, quel Dio che un tempo sconfisse il Faraone: « l'ardua furia soffiò dell'onde rosse... degli avari ladron sul capo reo ».
Dunque il Manzoni, dopo la conversione, non dimentica per la religione la società, e il fatto ha una sua logica interna. L'interesse fondamentale della religione è costituito dai rapporti dell'uomo con i suoi simili: la legge essenziale del cristianesimo-è quella dell'amor fraterno. Questo interesse, questa legge si attuano, o dovrebbero attuarsi, nella società-, di qui la straordinaria attenzione ad essa, e pertanto alla politica che questa società forma e dirige. Tale azione politica, i cui effetti si fanno sentire su tutti gli uomini, che dovrebbe permettere agli uomini stessi di svolgere nel miglior modo il loro compito morale-religioso, dovrebbe essere esercitata da una classe di dirigenti nei quali si attui nel modo più rigoroso e puro la morale cristiana. Ebbene, non soltanto ciò non accade — il poeta se ne avvede sempre meglio — ma al contrario proprio in questa classe, per tradizione che è divenuta convinzione irremovibile, si è fedeli alla morale dell'utile e della forza, si ricerca il vantaggio personale o nazionale o di classe con assoluta durezza.
Anche la speranza espressa nel Proclama di Rimini doveva essere delusa. E sotto l'impressione di quanto faceva la classe sacerdotale, che rivelava un atteggiamento filo-austriaco, favorevole dunque agli oppressori, il Manzoni scriveva nel 1817 il primo abbozzo della Pentecoste. Riappariva un'antica, e poi sempre rinnovata idea: la religione, così pura nel suo significato morale, poteva non esserlo nei suoi rappresentanti. Era da respingere ogni legame tra la religione, superiore alle passioni, e il potere politico, espressione delle passioni. Ed ecco confrontata, nell'abbozzo, una religione che si appoggia alla forza, simboleggiata nel tempestoso Sinai, con una religione che si fonda sull'amore, simboleggiata dal soave Golgota.
Nel frammento Aprile 1814 c'è il vivo senso della libertà di parola, prerogativa non sopprimibile della personalità umana (è un motivo che non verrà meno nei Promessi Sposi): il « superbo morso », constata con gioia il Manzoni, è stato tolto all'onesta parola, e ogni * affetto compresso » può ormai correre al labbro.-Si affaccia il sentimento di avversione per l'inganno e l'intrigo propriamente politico: i francesi hanno mutato il « sacro patto » come « si muta il vestimento »; hanno dato « nuovi padri » alla legge, ma li hanno dispersi quando si sono avveduti che erano amici ai buoni. C'è l'avversione alla guerra, incessantemente alimentata dai francesi negli ultimi decenni; e significativamente questa idea ne richiama un'altra: quelle guerre distruggevano le gioie familiari, i « soavi colloqui ». Troviamo una prima positiva indicazione su quel che il Manzoni richiede a un governo: che amministri saggiamente a vantaggio di « tutti » (« al ben di tutti aver rivolta ogni opera »). Nel Proclama di Rimini appaiono altre idee importanti: è necessaria l'unità per rendere forte l'Italia: un sentimento — questo dell'unità — che si era posto accanto a quello democratico fin dagli anni giovanili, quando il Manzoni aveva avuto rapporti con lo storico napoletano Vincenzo Cuoco, un protagonista della lotta per la Repubblica partenopea del 1799, deciso sostenitore dell'unità. Pensa il poeta alla legittimità di una guerra di liberazione condotta con « l'ira e la gioia dei perigli », per conseguire questi giusti scopi. Nasce l'idea che un Dio vegli sulla storia, quel Dio che un tempo sconfisse il Faraone: « l'ardua furia soffiò dell'onde rosse... degli avari ladron sul capo reo ».
Dunque il Manzoni, dopo la conversione, non dimentica per la religione la società, e il fatto ha una sua logica interna. L'interesse fondamentale della religione è costituito dai rapporti dell'uomo con i suoi simili: la legge essenziale del cristianesimo-è quella dell'amor fraterno. Questo interesse, questa legge si attuano, o dovrebbero attuarsi, nella società-, di qui la straordinaria attenzione ad essa, e pertanto alla politica che questa società forma e dirige. Tale azione politica, i cui effetti si fanno sentire su tutti gli uomini, che dovrebbe permettere agli uomini stessi di svolgere nel miglior modo il loro compito morale-religioso, dovrebbe essere esercitata da una classe di dirigenti nei quali si attui nel modo più rigoroso e puro la morale cristiana. Ebbene, non soltanto ciò non accade — il poeta se ne avvede sempre meglio — ma al contrario proprio in questa classe, per tradizione che è divenuta convinzione irremovibile, si è fedeli alla morale dell'utile e della forza, si ricerca il vantaggio personale o nazionale o di classe con assoluta durezza.
Anche la speranza espressa nel Proclama di Rimini doveva essere delusa. E sotto l'impressione di quanto faceva la classe sacerdotale, che rivelava un atteggiamento filo-austriaco, favorevole dunque agli oppressori, il Manzoni scriveva nel 1817 il primo abbozzo della Pentecoste. Riappariva un'antica, e poi sempre rinnovata idea: la religione, così pura nel suo significato morale, poteva non esserlo nei suoi rappresentanti. Era da respingere ogni legame tra la religione, superiore alle passioni, e il potere politico, espressione delle passioni. Ed ecco confrontata, nell'abbozzo, una religione che si appoggia alla forza, simboleggiata nel tempestoso Sinai, con una religione che si fonda sull'amore, simboleggiata dal soave Golgota.