PREANNUNCI DEL ROMANZO NELLO SVOLGIMENTO SPIRITUALE ED ARTISTICO DEL MANZONI DEL 1821
1 . I germi della morale e del gusto manzoniano nelle opere del periodo 1801-1805
Alessandro Manzoni mise mano a trentasei anni alla prima stesura del suo grande romanzo, che porta, come data d'inizio, il giorno 24 aprile 1821. Lo scrittore aveva a quel tempo dietro di sè uno svolgimento spirituale ed artistico già lungo, ma in complesso coerente, che sarà opportuno esaminare, particolarmente in quei momenti, o in quei punti, che meglio giovano ad illuminare taluni caratteri dei Promessi Sposi. La prima attività (1801-1805) del giovanissimo Manzoni (era nato a Milano nel 1785) si compendia in pochi componimenti, di limitato valore artistico: alcune traduzioni da Virgilio e da Orazio; un poemetto, il Trionfo della Libertà, nel quale, sul modello di analoghe opere di Vincenzo Monti, lo scrittore inneggia alla nuova libertà recata dalla rivoluzione francese, che ha finalmente vinto la superstizione e la tirannide; alcuni sonetti autobiografici; un idillio, Adda, che descrive pacatamente e finemente i luoghi ove scorre il fiume; l'ode Qual su le cinzie cime; quattro Sermoni contro i cattivi costumi dell'epoca agitata e corrotta in cui il giovane vive. Acerba produzione questa, nella quale pur si ritrovano i germi del carattere, del gusto letterario, delle idee del Manzoni maggiore.
Già erano in lui durante questi anni il coraggio di « favellare apertamente », e la « prestezza al perdono », se dobbiamo credere alla testimonianza del sonetto Ritratto a se stesso. Cera il desiderio di un'arte nuova, tanto che la musa era invocata perchè mostrasse « novo intatto sentier » (Alla Musa); e di un'arte morale, che correggesse i costumi attraverso la polemica e la satira: come indica l'amore del giovane poeta per Orazio satirico, la frequente citazione del Parini che « sull'orme dell'immenso Fiacco » maledisse « de' potenti l'orgoglio », la composizione stessa e l'argomento dei Sermoni. Non vuole poi il Manzoni un'arte prolissa, ove « in parole molte Poco senso si chiuda » (satira III, A G.B. Pagani), nè scolasticamente volta verso l'antico, in cui si facciano « soggetto ai numeri sonanti Opre di antichi eroi » (III sermone). Vagheggiando piuttosto un'arte aderente alla realtà, vuole « notar la plebe » nei suoi scritti; e troviamo persino fin da ora l'esigenza di una forma non aulica, di un « sermon pedestre ».
Tutti i sermoni consistono in « conversazioni » talvolta pensose talvolta crude sui fatti umani, interessanti per chi guardi al futuro svolgimento dell'arte manzoniana: è questo forse il tono stilistico della prima epoca più coerente con quello che ritroveremo nel punto di arrivo del grande narratore. Il futuro finissimo stilista, invece, lo scrittore dai toni equilibrati e pacati, il creatore di dolci paesaggi naturali è annunziato dall'ode Qual su le cinzie cime e dall'idillio Adda: anche se, a differenza di quanto avviene qui, ove i paesaggi sono goduti in sè, nelle opere future i paesaggi saranno sempre inseriti nel dramma umano. Il desiderio di fare arte cercando un sostegno nella storia è poi in sostanza già vivo nel Trionfo della Libertà, ove si evocano, per inneggiare al nuovo regime repubblicano, fatti dell'antica repubblica romana. Nello stesso Trionfo della Libertà troviamo uno stile drammatico e mosso, anch'esso non privo di continuità e di svolgimento, se pensiamo al fervore degli Inni sacri, allo stile delle tragedie, alla forma talvolta drammatica della prima stesura del romanzo.
Ma è soprattutto per certi motivi spirituali che il Trionfo della Libertà ci interessa. Ecco l'anelito alla uguaglianza di tutti, alla giustizia per tutti, che il Manzoni chiede ora in nome della Ragione, comune ad ogni uomo, e non della religione, come poi avverrà. Ecco il tema degli orrori della guerra: la guerra offende soprattutto i deboli e gli inermi (vi è disegnato in tono patetico il miserando spettacolo delle spose che fanno « con la debil man vano puntello » al « violato ostello »). Esiste persino, nel Trionfo della Libertà, qualcosa che lontanamente ricorda Videa, poi divenuta essenziale nella concezione manzoniana, dell'esistenza di due morali: una morale di diritto che gli uomini indicano come giusta in teoria, e una peggiore che essi applicano di fatto. Così i francesi si proclamano creatori di un mondo fondato sulla giustizia, e si comportano da « gentili masnadieri ». Il clero venale ha appoggiato la tirannide e il privilegio: ma Gesù un tempo menava in Galilea « povera disperata ed umil vita », e il Dio di pace e di perdono che siede in cielo è un « amante comun Padre ».Quest'ultimo passo è interessante al fine di chiarire l'atteggiamento del Manzoni verso la religione durante questo periodo; e anche per definire certe posizioni del futuro scrittore, che criticherà liberamente taluni aspetti della struttura temporale della religione, cioè della Chiesa; e vorrà un ritorno al cristianesimo concepito nella genuinità della stia morale originaria, scuola di purezza e di umiltà.
Già erano in lui durante questi anni il coraggio di « favellare apertamente », e la « prestezza al perdono », se dobbiamo credere alla testimonianza del sonetto Ritratto a se stesso. Cera il desiderio di un'arte nuova, tanto che la musa era invocata perchè mostrasse « novo intatto sentier » (Alla Musa); e di un'arte morale, che correggesse i costumi attraverso la polemica e la satira: come indica l'amore del giovane poeta per Orazio satirico, la frequente citazione del Parini che « sull'orme dell'immenso Fiacco » maledisse « de' potenti l'orgoglio », la composizione stessa e l'argomento dei Sermoni. Non vuole poi il Manzoni un'arte prolissa, ove « in parole molte Poco senso si chiuda » (satira III, A G.B. Pagani), nè scolasticamente volta verso l'antico, in cui si facciano « soggetto ai numeri sonanti Opre di antichi eroi » (III sermone). Vagheggiando piuttosto un'arte aderente alla realtà, vuole « notar la plebe » nei suoi scritti; e troviamo persino fin da ora l'esigenza di una forma non aulica, di un « sermon pedestre ».
Tutti i sermoni consistono in « conversazioni » talvolta pensose talvolta crude sui fatti umani, interessanti per chi guardi al futuro svolgimento dell'arte manzoniana: è questo forse il tono stilistico della prima epoca più coerente con quello che ritroveremo nel punto di arrivo del grande narratore. Il futuro finissimo stilista, invece, lo scrittore dai toni equilibrati e pacati, il creatore di dolci paesaggi naturali è annunziato dall'ode Qual su le cinzie cime e dall'idillio Adda: anche se, a differenza di quanto avviene qui, ove i paesaggi sono goduti in sè, nelle opere future i paesaggi saranno sempre inseriti nel dramma umano. Il desiderio di fare arte cercando un sostegno nella storia è poi in sostanza già vivo nel Trionfo della Libertà, ove si evocano, per inneggiare al nuovo regime repubblicano, fatti dell'antica repubblica romana. Nello stesso Trionfo della Libertà troviamo uno stile drammatico e mosso, anch'esso non privo di continuità e di svolgimento, se pensiamo al fervore degli Inni sacri, allo stile delle tragedie, alla forma talvolta drammatica della prima stesura del romanzo.
Ma è soprattutto per certi motivi spirituali che il Trionfo della Libertà ci interessa. Ecco l'anelito alla uguaglianza di tutti, alla giustizia per tutti, che il Manzoni chiede ora in nome della Ragione, comune ad ogni uomo, e non della religione, come poi avverrà. Ecco il tema degli orrori della guerra: la guerra offende soprattutto i deboli e gli inermi (vi è disegnato in tono patetico il miserando spettacolo delle spose che fanno « con la debil man vano puntello » al « violato ostello »). Esiste persino, nel Trionfo della Libertà, qualcosa che lontanamente ricorda Videa, poi divenuta essenziale nella concezione manzoniana, dell'esistenza di due morali: una morale di diritto che gli uomini indicano come giusta in teoria, e una peggiore che essi applicano di fatto. Così i francesi si proclamano creatori di un mondo fondato sulla giustizia, e si comportano da « gentili masnadieri ». Il clero venale ha appoggiato la tirannide e il privilegio: ma Gesù un tempo menava in Galilea « povera disperata ed umil vita », e il Dio di pace e di perdono che siede in cielo è un « amante comun Padre ».Quest'ultimo passo è interessante al fine di chiarire l'atteggiamento del Manzoni verso la religione durante questo periodo; e anche per definire certe posizioni del futuro scrittore, che criticherà liberamente taluni aspetti della struttura temporale della religione, cioè della Chiesa; e vorrà un ritorno al cristianesimo concepito nella genuinità della stia morale originaria, scuola di purezza e di umiltà.