PREANNUNCI DEL ROMANZO NELLO SVOLGIMENTO SPIRITUALE ED ARTISTICO DEL MANZONI DEL 1821
5. Preannunci del romanzo nelle opere del periodo 1816-1821
(Marzo 1821, Cinque maggio, le due tragedie).
Copertina della prima edizione del 1840
Assai intensa, negli anni che vanno dal 1816 all'inizio della prima redazione del grande romanzo (1821), l'attività creativa del Manzoni.
Nasce in quest'epoca l'ode Marzo 1821: prendendo spunto dalla sollevazione dei patrioti piemontesi, che sembrava preludere alla liberazione della Lombardia, il Manzoni ripete in sostanza, con maggior compiutezza d'arte, i sentimenti già espressi nel Proclama di Rimini, dando nuova chiarezza alla concezione provvidenziale della storia: la Provvidenza è ora indicata, in modo ancor più chiaro, come protettrice del principio della nazionalità, poiché a crear le nazioni è stato Iddio. Il Cinque maggio, sulla morte di Napoleone, sviluppa il motivo che troveremo concretato altre volte, fino all'episodio dell'innominato, del ritrovamento di Dio di fronte al dolore e alla morte. Nella Pentecoste (1822) il Manzoni supererà più chiaramente la distinzione fra il cristianesimo concepito come epico momento della storia e la vita quotidiana, scoprendo che proprio la vita quotidiana è epica guerra, con i suoi dubbi, pericoli, dolori, nella quale ciascuno può e deve essere soccorso dal vivo, sempre rinnovato, intervento dello Spirito. E molti caratteri nuovi presentano le tragedie Conte di Carmagnola e Adelchi.
Perchè il Manzoni si volse alla forma drammatica?
Il giudizio sul rapporto fra la morale e la società si perfezionava sempre più nella sua articolazione logica. Di qui il naturale desiderio di forme letterarie più ampie, tali da permettere una vasta e minuziosa rappresentazione della condizione umana. Due versi significativi apparivano proprio al termine della canzone Aprile 1814, che segnava l'inizio di questo concreto confronto fra situazione storico-sociale e cristiana moralità: « molte e gran cose in picciol fascio io stringo ».
Con la maggior ampiezza di strutture e la miglior possibilità di analisi che la nuova forma drammatica gli offriva, il Manzoni si trovava di fronte, per la prima volta, alla necessità di svolgere narrativamente un'azione di un certo respiro (e questo tirocinio non sarà privo di utilità nei riguardi dei Promessi Sposi, dove l'autore dovrà creare appunto un ritmo narrativo); e si trovava di fronte all'esigenza di plasmare dei caratteri attribuendo a ciascun personaggio una psicologia. Si rivelava ora per la prima volta con evidenza l'inclinazione del Manzoni al genere obiettivo del dramma, accanto al quale si collocherà presto, e naturalmente, l'altro genere obiettivo del romanzo (del resto già le ultime liriche si erano tenute ben lontane dall'autobiografismo). Lo scrittore chiariva questa sua preferenza nella prefazione al primo dramma, il Conte di Carmagnola, affermando di voler sfuggire alla « tentazione d'introdursi nell'azione, e di prestare ai personaggi i suoi propri sentimenti ». Si poneva però anche con precisione il problema di un intervento a commentare i fatti rappresentati Senza questo intervento lo scrittore avrebbe men bene conseguito uno degli scopi, quello morale, che egli attribuiva all'opera d'arte. E del resto proprio la forma di un intervento che giudicava i fatti storici avevano avuto le liriche del 1814 e del 1815. Questo problema, nelle tragedie, il Manzoni decide di risolvere con i cori, ai quali affida il compito di esporre il proprio pensiero; il problema permarrà, e sarà risolto in altro modo, quando lo scrittore comporrà il romanzo.
L'autore si volge inoltre, per molte ragioni, a rappresentare non più situazioni politiche attuali, ma fatti storici. Era questa una sua inclinazione naturale, e la storia si era già affacciata nel Trionfo della Libertà e negli Inni sacri; ma ora egli vuole contemplare, e soprattutto rappresentare con tratti meno generici e più concreti (fondandosi sui documenti), il dramma morale che diviene politico, ed è rappresentato dalla storia dell'uomo. Lo spingeva anche a passare dalla rappresentazione dei fatti attuali alla storia la situazione politica: talune liriche che riflettevano vicende contemporanee all'autore rimanevano inedite per una ineliminabile prudenza, e ciò impediva al Manzoni di esercitare quel magistero morale cui pure egli tanto teneva. Se la storia aveva su di lui naturalmente un vivo fascino, questo fascino era stato sviluppato certo anche dalla conoscenza del Vico, dall'amicizia con lo storico Fauriel. dallo stesso gusto romantico che, da lui conosciuto in Francia anni prima, veniva stabilendosi dal 1816 anche in Milano e portava una viva inclinazione alla storia. Tutti questi motivi restano validi anche per spiegare la nascita del romanzo manzoniano, che presto seguirà.
Ma nelle notizie storiche premesse al Carmagnola si chiarisce anche subito, sebbene per via indiretta, che il Manzoni terrà, nel considerare le vicende, un modo diverso da quello consueto. Gli storici, specialmente veneti, per « scrivere e viver tranquilli » hanno creato, sulla figura del Carmagnola, un'interpretazione che rivela la loro complicità con la legge della forza e dell'utile adottata di norma dagli uomini politici, e in questo caso da quelli di Venezia. Hanno raccontato « con sentimento di compiacenza » come « un bel tratto di ciò che altre volte si chiamava prudenza e virtù politica » l'inganno teso al Carmagnola con l'attirarlo a Venezia disarmato, anzi acclamato dalle popolazioni. Il dramma che il Manzoni scriverà, nel suo contenuto storico, sarà coraggiosamente diverso, procedendo da una morale diversa ed opposta. Anche questa posizione manzoniana si trasferirà intatta nella nuova opera, quando lo scrittore comporrà il romanzo. Egli ha il gusto e quasi il sentimento della verità pura e audace.
E si trasferirà nel romanzo il tema centrale della tragedia, la rappresentazione analitica e polemica della condotta di quella classe politica, guidata dalla legge dell'interesse, che crea la storia del mondo cristiano ignorando la morale cristiana, e provocando il dolore. Qui si tratta — a differenza di quanto avverrà poi nel romanzo — del dolore e dell'ingiustizia perpetrata ai danni non di un popolo o di una classe sociale o di un gruppo di seguaci della vera morale, ma di un uomo, il conte di Carmagnola, capitano di ventura del Quattrocento, che si è messo al servizio dei veneziani, e per loro conto ha vinto le truppe del Visconti. Non è particolarmente fedele alla legge cristiana: è però un uomo di origine popolana, chiaro nella sua azione, che « agogna sol d'essere ben noto » nelle sue idee, incurante dei " nodi " della politica, riluttante a dar ossequio e adulazione agli uomini politici, e « leggi a se stesso ». Permette ai nemici prigionieri di fuggire, e abbraccia uno di essi riconoscendo un amico: fa tutto questo perchè è un imprudente, e perchè un moto psicologico comune negli uomini rende dolce « il perdonar quando si vince ». Qui nascono altri motivi che avranno importanti sviluppi: sotto lo stimolo del dolore sia per l'ingiustizia subita (a causa degli atti compiuti è stato giudicato traditore) sia per l'angoscia della moglie e della figlia, di fronte alla morte il conte, che già precedentemente, nel momento del grande successo terreno, aveva sentito una strana scontentezza, nomina per la prima volta Dio. Lo prega perchè * mandi dal cielo » sopra la moglie e la figlia « un guardo di pietà »; alla figlia ricorda che « pei diserti in cielo C'è un padre ». Dunque, avvicinamento a Dio attraverso il dolore: il tema sarà poi rappresentato nell'innominato (ma prima avrà altre espressioni nelle vicende di Desiderio e di Napoleone). E l'invocazione a Dio come protettore dei derelitti rivivrà sulle labbra di Lucia. La pietà per le vittime delle arti politiche e della guerra si riversa sulla moglie e sulla figlia del Carmagnola, sui due innocenti esseri femminili. Al motivo lo stesso Manzoni diede rilievo nella Lettera allo Chauvet, osservando che aveva collocato accanto al conte due compagne devote, presenti a ricever la parte di felicità e di sventura che a loro procurerà l'uomo da cui dipendono: poi il compianto sulle vittime della guerra diventerà più vasto, e comprenderà un intero popolo. Si imposta anche un altro tema manzoniano: il dolore, voluto dalla Provvidenza, colpisce anche gli incolpevoli, come il Carmagnola, e lo colpisce proprio perchè egli non vuol accogliere in tutto la legge della forza. Non resta che accettare un dolore privo di rimorso, e attraverso di esso riconoscere le vere leggi del mondo, e ritrovare Dio. Così alle donne, come lo stesso morituro dice, non rimane che trascorrere una vita non lieta, ma « tranquilla », Nel coro, un altro tema ancora: si depreca quel grande eterno delitto contro la fraternità che è la guerra.
L'importanza storica del Carmagnola (maggiore di quella artistica che è scarsa per la frammentarietà dei valori) risalta dal fatto che in sostanza l'Adelchi ripete motivi simili, portandoli a più alto livello artistico. Anche qui c'è la rappresentazione del mondo dei potenti, che creano i destini dei popoli seguendo la legge della forza. Desiderio ha occupato alcune terre del papa Adriano, che si è rivolto per aiuto a Carlo, re dei Franchi: il quale ripudia Ermengarda, figlia di Desiderio e sua sposa, e muove guerra al re longobardo; questi gli resiste per il valore del figlio Adelchi, che, pur non approvando le dure arti del padre, è al suo fianco. Dopo la rotta dei longobardi, Desiderio è fatto prigioniero; Adelchi muore di ferite; e di dolore, per il ripudio, muore Ermengarda.
Con il dramma di Adelchi e di Ermengarda, due anime buone anch'esse, collocate dalla sorte nel duro mondo dei potenti, che soffrono per una disuguaglianza di caratteri e di scopi, ritorna, variato ed approfondito, il motivo centrale del Canna gnola. Adelchi non è, come il Carmagnola, l'uomo franco, leale, semplice per una persistente fedeltà alle semplici origini, ma l'uomo nato principe, sottoposto ad aspri doveri: duri perchè egli, collocato appunto dalla nascita nel mondo dei potenti rigidamente fedele alle leggi dell'utile e della forza, deve pure adeguarsi con dolore in qualche misura a quelle leggi che disapprova, avendo in odio la guerra, alla norma che obbliga gli uomini € a far torto o a patirlo ». Se i suoi atteggiamenti si conformano a quelli della morale cristiana, egli non è tuttavia di questa morale un cosciente banditore, un apostolo consapevole e audace, come poi saranno taluni personaggi dei Promessi Sposi: è solo di essa un pensoso scopritore. Il compianto sulle vittime delle dure leggi del mondo dei potenti ritorna, in modo ancora più evidente, nella vicenda di Ermengarda, costretta a sperare solo nella pace della motte e nella coscienza della propria incolpevolezza di fronte a Dio. Ancora una volta, come nel Carmagnola, troviamo una donna colpita nei suoi affetti (nella vivida descrizione dell'amore per Carlo riappare il tema delle pure gioie dell'amore matrimoniale).
Sconfitto e prigioniero, Desiderio, così barbaricamente feroce, nomina Dio: Dio che lo inchinò innanzi a Carlo, Dio che è « presso ai travagliati », che abborre gli smisurati desideri, che chiama tutti davanti al suo trono. Ritorna un altro motivo: la scoperta, di fronte alla morte, delle profonde leggi della vita, il riconoscimento dell'uguaglianza degli uomini nella sventura che su tutti incombe, il pensiero di Dio. Si propone poi anche un altro tema, già affrontato nel Carmagnola (con la rappresentazione del senato di Venezia) e ripreso nei Promessi Sposi: il Manzoni descrive nei traditori Svarto e Guntigi l'umanità che prende a norma della vita la legge dell'interesse e dell'affermazione personale, la ragiona con consequenzialità, la traduce in azione. Si affaccia un ultimo argomento importante, quello della Provvidenza: nel coro « Sparsa le trecce morbide... » sulla morte di Ermengarda il Manzoni si appella alla Provvidenza, che ha collocato fra gli oppressi Ermengarda, discesa dalla rea progenie degli oppressori: atto divino da intendersi non come esecuzione di una vendetta storica, ma come il preludio, appena accennato, di una nuova concezione manzoniana. La Provvidenza dimostra, con le vicende cui dà luogo, l'uguaglianza di tutti, umili e nati da re, di fronte a cose più grandi.
Nasce in quest'epoca l'ode Marzo 1821: prendendo spunto dalla sollevazione dei patrioti piemontesi, che sembrava preludere alla liberazione della Lombardia, il Manzoni ripete in sostanza, con maggior compiutezza d'arte, i sentimenti già espressi nel Proclama di Rimini, dando nuova chiarezza alla concezione provvidenziale della storia: la Provvidenza è ora indicata, in modo ancor più chiaro, come protettrice del principio della nazionalità, poiché a crear le nazioni è stato Iddio. Il Cinque maggio, sulla morte di Napoleone, sviluppa il motivo che troveremo concretato altre volte, fino all'episodio dell'innominato, del ritrovamento di Dio di fronte al dolore e alla morte. Nella Pentecoste (1822) il Manzoni supererà più chiaramente la distinzione fra il cristianesimo concepito come epico momento della storia e la vita quotidiana, scoprendo che proprio la vita quotidiana è epica guerra, con i suoi dubbi, pericoli, dolori, nella quale ciascuno può e deve essere soccorso dal vivo, sempre rinnovato, intervento dello Spirito. E molti caratteri nuovi presentano le tragedie Conte di Carmagnola e Adelchi.
Perchè il Manzoni si volse alla forma drammatica?
Il giudizio sul rapporto fra la morale e la società si perfezionava sempre più nella sua articolazione logica. Di qui il naturale desiderio di forme letterarie più ampie, tali da permettere una vasta e minuziosa rappresentazione della condizione umana. Due versi significativi apparivano proprio al termine della canzone Aprile 1814, che segnava l'inizio di questo concreto confronto fra situazione storico-sociale e cristiana moralità: « molte e gran cose in picciol fascio io stringo ».
Con la maggior ampiezza di strutture e la miglior possibilità di analisi che la nuova forma drammatica gli offriva, il Manzoni si trovava di fronte, per la prima volta, alla necessità di svolgere narrativamente un'azione di un certo respiro (e questo tirocinio non sarà privo di utilità nei riguardi dei Promessi Sposi, dove l'autore dovrà creare appunto un ritmo narrativo); e si trovava di fronte all'esigenza di plasmare dei caratteri attribuendo a ciascun personaggio una psicologia. Si rivelava ora per la prima volta con evidenza l'inclinazione del Manzoni al genere obiettivo del dramma, accanto al quale si collocherà presto, e naturalmente, l'altro genere obiettivo del romanzo (del resto già le ultime liriche si erano tenute ben lontane dall'autobiografismo). Lo scrittore chiariva questa sua preferenza nella prefazione al primo dramma, il Conte di Carmagnola, affermando di voler sfuggire alla « tentazione d'introdursi nell'azione, e di prestare ai personaggi i suoi propri sentimenti ». Si poneva però anche con precisione il problema di un intervento a commentare i fatti rappresentati Senza questo intervento lo scrittore avrebbe men bene conseguito uno degli scopi, quello morale, che egli attribuiva all'opera d'arte. E del resto proprio la forma di un intervento che giudicava i fatti storici avevano avuto le liriche del 1814 e del 1815. Questo problema, nelle tragedie, il Manzoni decide di risolvere con i cori, ai quali affida il compito di esporre il proprio pensiero; il problema permarrà, e sarà risolto in altro modo, quando lo scrittore comporrà il romanzo.
L'autore si volge inoltre, per molte ragioni, a rappresentare non più situazioni politiche attuali, ma fatti storici. Era questa una sua inclinazione naturale, e la storia si era già affacciata nel Trionfo della Libertà e negli Inni sacri; ma ora egli vuole contemplare, e soprattutto rappresentare con tratti meno generici e più concreti (fondandosi sui documenti), il dramma morale che diviene politico, ed è rappresentato dalla storia dell'uomo. Lo spingeva anche a passare dalla rappresentazione dei fatti attuali alla storia la situazione politica: talune liriche che riflettevano vicende contemporanee all'autore rimanevano inedite per una ineliminabile prudenza, e ciò impediva al Manzoni di esercitare quel magistero morale cui pure egli tanto teneva. Se la storia aveva su di lui naturalmente un vivo fascino, questo fascino era stato sviluppato certo anche dalla conoscenza del Vico, dall'amicizia con lo storico Fauriel. dallo stesso gusto romantico che, da lui conosciuto in Francia anni prima, veniva stabilendosi dal 1816 anche in Milano e portava una viva inclinazione alla storia. Tutti questi motivi restano validi anche per spiegare la nascita del romanzo manzoniano, che presto seguirà.
Ma nelle notizie storiche premesse al Carmagnola si chiarisce anche subito, sebbene per via indiretta, che il Manzoni terrà, nel considerare le vicende, un modo diverso da quello consueto. Gli storici, specialmente veneti, per « scrivere e viver tranquilli » hanno creato, sulla figura del Carmagnola, un'interpretazione che rivela la loro complicità con la legge della forza e dell'utile adottata di norma dagli uomini politici, e in questo caso da quelli di Venezia. Hanno raccontato « con sentimento di compiacenza » come « un bel tratto di ciò che altre volte si chiamava prudenza e virtù politica » l'inganno teso al Carmagnola con l'attirarlo a Venezia disarmato, anzi acclamato dalle popolazioni. Il dramma che il Manzoni scriverà, nel suo contenuto storico, sarà coraggiosamente diverso, procedendo da una morale diversa ed opposta. Anche questa posizione manzoniana si trasferirà intatta nella nuova opera, quando lo scrittore comporrà il romanzo. Egli ha il gusto e quasi il sentimento della verità pura e audace.
E si trasferirà nel romanzo il tema centrale della tragedia, la rappresentazione analitica e polemica della condotta di quella classe politica, guidata dalla legge dell'interesse, che crea la storia del mondo cristiano ignorando la morale cristiana, e provocando il dolore. Qui si tratta — a differenza di quanto avverrà poi nel romanzo — del dolore e dell'ingiustizia perpetrata ai danni non di un popolo o di una classe sociale o di un gruppo di seguaci della vera morale, ma di un uomo, il conte di Carmagnola, capitano di ventura del Quattrocento, che si è messo al servizio dei veneziani, e per loro conto ha vinto le truppe del Visconti. Non è particolarmente fedele alla legge cristiana: è però un uomo di origine popolana, chiaro nella sua azione, che « agogna sol d'essere ben noto » nelle sue idee, incurante dei " nodi " della politica, riluttante a dar ossequio e adulazione agli uomini politici, e « leggi a se stesso ». Permette ai nemici prigionieri di fuggire, e abbraccia uno di essi riconoscendo un amico: fa tutto questo perchè è un imprudente, e perchè un moto psicologico comune negli uomini rende dolce « il perdonar quando si vince ». Qui nascono altri motivi che avranno importanti sviluppi: sotto lo stimolo del dolore sia per l'ingiustizia subita (a causa degli atti compiuti è stato giudicato traditore) sia per l'angoscia della moglie e della figlia, di fronte alla morte il conte, che già precedentemente, nel momento del grande successo terreno, aveva sentito una strana scontentezza, nomina per la prima volta Dio. Lo prega perchè * mandi dal cielo » sopra la moglie e la figlia « un guardo di pietà »; alla figlia ricorda che « pei diserti in cielo C'è un padre ». Dunque, avvicinamento a Dio attraverso il dolore: il tema sarà poi rappresentato nell'innominato (ma prima avrà altre espressioni nelle vicende di Desiderio e di Napoleone). E l'invocazione a Dio come protettore dei derelitti rivivrà sulle labbra di Lucia. La pietà per le vittime delle arti politiche e della guerra si riversa sulla moglie e sulla figlia del Carmagnola, sui due innocenti esseri femminili. Al motivo lo stesso Manzoni diede rilievo nella Lettera allo Chauvet, osservando che aveva collocato accanto al conte due compagne devote, presenti a ricever la parte di felicità e di sventura che a loro procurerà l'uomo da cui dipendono: poi il compianto sulle vittime della guerra diventerà più vasto, e comprenderà un intero popolo. Si imposta anche un altro tema manzoniano: il dolore, voluto dalla Provvidenza, colpisce anche gli incolpevoli, come il Carmagnola, e lo colpisce proprio perchè egli non vuol accogliere in tutto la legge della forza. Non resta che accettare un dolore privo di rimorso, e attraverso di esso riconoscere le vere leggi del mondo, e ritrovare Dio. Così alle donne, come lo stesso morituro dice, non rimane che trascorrere una vita non lieta, ma « tranquilla », Nel coro, un altro tema ancora: si depreca quel grande eterno delitto contro la fraternità che è la guerra.
L'importanza storica del Carmagnola (maggiore di quella artistica che è scarsa per la frammentarietà dei valori) risalta dal fatto che in sostanza l'Adelchi ripete motivi simili, portandoli a più alto livello artistico. Anche qui c'è la rappresentazione del mondo dei potenti, che creano i destini dei popoli seguendo la legge della forza. Desiderio ha occupato alcune terre del papa Adriano, che si è rivolto per aiuto a Carlo, re dei Franchi: il quale ripudia Ermengarda, figlia di Desiderio e sua sposa, e muove guerra al re longobardo; questi gli resiste per il valore del figlio Adelchi, che, pur non approvando le dure arti del padre, è al suo fianco. Dopo la rotta dei longobardi, Desiderio è fatto prigioniero; Adelchi muore di ferite; e di dolore, per il ripudio, muore Ermengarda.
Con il dramma di Adelchi e di Ermengarda, due anime buone anch'esse, collocate dalla sorte nel duro mondo dei potenti, che soffrono per una disuguaglianza di caratteri e di scopi, ritorna, variato ed approfondito, il motivo centrale del Canna gnola. Adelchi non è, come il Carmagnola, l'uomo franco, leale, semplice per una persistente fedeltà alle semplici origini, ma l'uomo nato principe, sottoposto ad aspri doveri: duri perchè egli, collocato appunto dalla nascita nel mondo dei potenti rigidamente fedele alle leggi dell'utile e della forza, deve pure adeguarsi con dolore in qualche misura a quelle leggi che disapprova, avendo in odio la guerra, alla norma che obbliga gli uomini € a far torto o a patirlo ». Se i suoi atteggiamenti si conformano a quelli della morale cristiana, egli non è tuttavia di questa morale un cosciente banditore, un apostolo consapevole e audace, come poi saranno taluni personaggi dei Promessi Sposi: è solo di essa un pensoso scopritore. Il compianto sulle vittime delle dure leggi del mondo dei potenti ritorna, in modo ancora più evidente, nella vicenda di Ermengarda, costretta a sperare solo nella pace della motte e nella coscienza della propria incolpevolezza di fronte a Dio. Ancora una volta, come nel Carmagnola, troviamo una donna colpita nei suoi affetti (nella vivida descrizione dell'amore per Carlo riappare il tema delle pure gioie dell'amore matrimoniale).
Sconfitto e prigioniero, Desiderio, così barbaricamente feroce, nomina Dio: Dio che lo inchinò innanzi a Carlo, Dio che è « presso ai travagliati », che abborre gli smisurati desideri, che chiama tutti davanti al suo trono. Ritorna un altro motivo: la scoperta, di fronte alla morte, delle profonde leggi della vita, il riconoscimento dell'uguaglianza degli uomini nella sventura che su tutti incombe, il pensiero di Dio. Si propone poi anche un altro tema, già affrontato nel Carmagnola (con la rappresentazione del senato di Venezia) e ripreso nei Promessi Sposi: il Manzoni descrive nei traditori Svarto e Guntigi l'umanità che prende a norma della vita la legge dell'interesse e dell'affermazione personale, la ragiona con consequenzialità, la traduce in azione. Si affaccia un ultimo argomento importante, quello della Provvidenza: nel coro « Sparsa le trecce morbide... » sulla morte di Ermengarda il Manzoni si appella alla Provvidenza, che ha collocato fra gli oppressi Ermengarda, discesa dalla rea progenie degli oppressori: atto divino da intendersi non come esecuzione di una vendetta storica, ma come il preludio, appena accennato, di una nuova concezione manzoniana. La Provvidenza dimostra, con le vicende cui dà luogo, l'uguaglianza di tutti, umili e nati da re, di fronte a cose più grandi.