PREANNUNCI DEL ROMANZO NELLO SVOLGIMENTO SPIRITUALE ED ARTISTICO DEL MANZONI DEL 1821
2. Nuovi spunti morali nel periodo 1805-1810.
Durante il periodo 1805-1810, il quale si inizia con la visita del Manzoni alla madre Giulia Beccaria, che viveva a Parigi, e si chiude con il pieno ritorno alla fede nel 1810, il poeta scrive il carme in endecasillabi sciolti In morte di Carlo Imbonati, nel quale racconta come il defunto, apparso a lui in sogno, suggerisca preziose massime di vita; gli endecasillabi sciolti A Parteneide, che esaltano la poesia; e il poemetto Urania in cui si celebra piti, ampiamente l'ufficio benefico della poesia stessa, sempre in endecasillabi sciolti. E' il metro pacato prevalente in questo periodo, un metro nel quale di nuovo si manifesta il desiderio di esporre le cose in una forma che assomigli a quella di una tranquilla, anche se eletta, conversazione.
In questa epoca il Manzoni approfondisce ed esprime in termini più originali due atteggiamenti che già precedentemente erano apparsi nel suo spirito: la convinzione dell'esistenza, nell'intimo della società, di due morali opposte in lotta costante fra di loro; e la volontà di cercare gioie pacate e sicure. Nei Sermoni, criticando la società contemporanea, il Manzoni si era limitato a condannare le indecorose professioni alle quali l'agitata situazione dell'epoca induceva gli uomini. Nel carme In morte di Carlo Imbonati la critica diviene più originale: ed ha il suo punto essenziale nell'affermazione che il delitto « turpe non è se fortunato ». Esiste nella società, accanto alla vera e sincera morale, un'altra morale, altrettanto e più diffusa. Essa indica come meta all'azione umana l'utile: loda in ogni caso il successo, anche se ottenuto con il raggiro e con la violenza. Perciò esposto all'accusa e alla punizione è il debole : « sol reo si stima Chi non compie il delitto ». Il giusto è indifeso ed oppresso perchè solitario, mentre i perversi tendono a collegarsi e ad organizzarsi: « dura è pel giusto solitario, il credi, Dura e pur troppo disegual, la guerra Contra i perversi affratellati e molti ». La doppia legge che opera nella società è sostenuta dalla doppiezza mentale: « ...il pensier dalla parola è sempre Altro ». Ed il mondo cerca di trascinare tutti a plaudire al vizio, a deridere la virtù.
Contro questa situazione si sviluppa nel Manzoni il pensiero che era già balenato nella sua mente quando si era rallegrato, nel terzo sermone, per il fatto di dedicarsi alla poesia, che era, a differenza di tante altre, un'arte non « nocente ». La società può attrarre verso il vizio, non costringere ad esso; l'uomo può sempre ritirarsi nella serenità e nella purezza: l'immagine di Carlo Imbonati ha infatti il ciglio « sereno e mite », una sorridente dolcezza d'eloquio, una riservatezza che può salvare l'innocenza: a lui « non piacque su la via più trita La folla urtar che dietro al piacer corre E a l'onor vano e al lucro ». L'ombra porge consigli conformi: « De le sale Al gracchiar voto e del censito volgo Al petulante cinguettio, d'amici Ceto preponi intemerati e pochi, E la placata compagnia di quelli Che, spenti, al mondo ancor son pregio e norma ». Questo benefico ritiro nella calma della propria coscienza potrà attuarsi purché si accompagni al « sentir » il « meditar », dopo aver sperimentato — seguendo il principio della riservatezza — delle umane cose solo quanto basti per non curarle. Riflettiamo a questa volontà di rifugio che assicura non tanto la pace quanto l'incontaminata purità (il poeta evoca ben a ragione nel carme l'immagine dell'Alfieri, che prepose a ogni altro desiderio quello di conservar incorrotta la propria vita, e il Parini). Alla luce di questa situazione spirituale, la concezione fondamentale dell'Urania, che esalta appunto questo ufficio purificatore della poesia, non ci sembrerà strana o inaspettata. E non ci stupiremo se in questi stessi anni vedremo il Manzoni ritrovare le dolci gioie della famiglia, prima attraverso il ricongiungimento con la madre (« io non vivo che per la mia Giulia », scriveva al Monti nel 1805), poi attraverso il matrimonio (1808) con Enrichetta Blondel: quelle gioie familiari che collocherà poi fra le tranquille e sicure mete della vita.
Ma ormai la morale che si era costituita appariva insufficiente al Manzoni. Era la morale di un intellettuale, una morale che pochi potevano comprendere e mettere in atto, derivata dalle opere di altri intellettuali. Vera morale il Manzoni sente ormai essere quella che serva a tutti gli uomini, riesca a tutti comprensibile. La morale acquisita, proprio perchè fondata sulla variabile ragione umana, e creata da intellettuali, presentava poi diverse tendenze: ma gli uomini chiedono nei vari, agitati casi della vita una morale che sia soprattutto « certa ». Per di più le nuove concezioni di vita che il Settecento aveva cercato di elaborare, fondate sull'uguaglianza e sulla fraternità, avevano condotto — nel 1810 era ormai chiaro — alla tirannide e a una serie ininterrotta di guerre. Di qui il desiderio di una diversa morale, che fu, per i l Manzoni, la morale cattolica.
In questa epoca il Manzoni approfondisce ed esprime in termini più originali due atteggiamenti che già precedentemente erano apparsi nel suo spirito: la convinzione dell'esistenza, nell'intimo della società, di due morali opposte in lotta costante fra di loro; e la volontà di cercare gioie pacate e sicure. Nei Sermoni, criticando la società contemporanea, il Manzoni si era limitato a condannare le indecorose professioni alle quali l'agitata situazione dell'epoca induceva gli uomini. Nel carme In morte di Carlo Imbonati la critica diviene più originale: ed ha il suo punto essenziale nell'affermazione che il delitto « turpe non è se fortunato ». Esiste nella società, accanto alla vera e sincera morale, un'altra morale, altrettanto e più diffusa. Essa indica come meta all'azione umana l'utile: loda in ogni caso il successo, anche se ottenuto con il raggiro e con la violenza. Perciò esposto all'accusa e alla punizione è il debole : « sol reo si stima Chi non compie il delitto ». Il giusto è indifeso ed oppresso perchè solitario, mentre i perversi tendono a collegarsi e ad organizzarsi: « dura è pel giusto solitario, il credi, Dura e pur troppo disegual, la guerra Contra i perversi affratellati e molti ». La doppia legge che opera nella società è sostenuta dalla doppiezza mentale: « ...il pensier dalla parola è sempre Altro ». Ed il mondo cerca di trascinare tutti a plaudire al vizio, a deridere la virtù.
Contro questa situazione si sviluppa nel Manzoni il pensiero che era già balenato nella sua mente quando si era rallegrato, nel terzo sermone, per il fatto di dedicarsi alla poesia, che era, a differenza di tante altre, un'arte non « nocente ». La società può attrarre verso il vizio, non costringere ad esso; l'uomo può sempre ritirarsi nella serenità e nella purezza: l'immagine di Carlo Imbonati ha infatti il ciglio « sereno e mite », una sorridente dolcezza d'eloquio, una riservatezza che può salvare l'innocenza: a lui « non piacque su la via più trita La folla urtar che dietro al piacer corre E a l'onor vano e al lucro ». L'ombra porge consigli conformi: « De le sale Al gracchiar voto e del censito volgo Al petulante cinguettio, d'amici Ceto preponi intemerati e pochi, E la placata compagnia di quelli Che, spenti, al mondo ancor son pregio e norma ». Questo benefico ritiro nella calma della propria coscienza potrà attuarsi purché si accompagni al « sentir » il « meditar », dopo aver sperimentato — seguendo il principio della riservatezza — delle umane cose solo quanto basti per non curarle. Riflettiamo a questa volontà di rifugio che assicura non tanto la pace quanto l'incontaminata purità (il poeta evoca ben a ragione nel carme l'immagine dell'Alfieri, che prepose a ogni altro desiderio quello di conservar incorrotta la propria vita, e il Parini). Alla luce di questa situazione spirituale, la concezione fondamentale dell'Urania, che esalta appunto questo ufficio purificatore della poesia, non ci sembrerà strana o inaspettata. E non ci stupiremo se in questi stessi anni vedremo il Manzoni ritrovare le dolci gioie della famiglia, prima attraverso il ricongiungimento con la madre (« io non vivo che per la mia Giulia », scriveva al Monti nel 1805), poi attraverso il matrimonio (1808) con Enrichetta Blondel: quelle gioie familiari che collocherà poi fra le tranquille e sicure mete della vita.
Ma ormai la morale che si era costituita appariva insufficiente al Manzoni. Era la morale di un intellettuale, una morale che pochi potevano comprendere e mettere in atto, derivata dalle opere di altri intellettuali. Vera morale il Manzoni sente ormai essere quella che serva a tutti gli uomini, riesca a tutti comprensibile. La morale acquisita, proprio perchè fondata sulla variabile ragione umana, e creata da intellettuali, presentava poi diverse tendenze: ma gli uomini chiedono nei vari, agitati casi della vita una morale che sia soprattutto « certa ». Per di più le nuove concezioni di vita che il Settecento aveva cercato di elaborare, fondate sull'uguaglianza e sulla fraternità, avevano condotto — nel 1810 era ormai chiaro — alla tirannide e a una serie ininterrotta di guerre. Di qui il desiderio di una diversa morale, che fu, per i l Manzoni, la morale cattolica.